Editoriale rivista n. 4 Ottobre/Dicembre 2019
La visibilità dell'errore e le reti invisibili
Andrea Canevaro
Le cronache quotidiane permettono di conoscere errori ed orrori. Presunti affidi taroccati. Bambini rifiutati. Maltrattati. Anziani percossi. E via discorrendo con uno stillicidio che fa interrogare le stesse fonti di quelle informazioni da parte di chi legge e da chi ascolta. A loro volta, le fonti d’informazione rispondo ponendo interrogativi a qualcuno, con l’incertezza di chi si debba interrogare. Confusione e incertezza. Sospetto e accuse fra le righe, o neanche tanto. Ricerca del colpevole. Sfiducia diffusa. Catastrofismo. Denuncia dell’assenza delle strutture pubbliche. Denuncia dell’eccesso di strutture pubbliche. Accuse di farci pagare per chi non lo merita. Intervista a una vittima. Inviti a un maggiore ascolto delle vittime. Potremmo continuare la litania. Preferiamo assumerci la responsabilità di indicare alcuni punti:
1) In questi anni sono aumentate in maniera considerevole le persone con diagnosi. Prendiamo in considerazione particolare i minori. Il personale dei servizi è rimasto contenuto nei numeri, caso mai in perdita, e ha dovuto cambiare di conseguenza organizzazione del lavoro (ritmi, cadenze dei contatti, numero di soggetti presi in carico, eccetera) senza avere il tempo per riflettere e progettare. Sarebbe come cambiare i pneumatici senza fermare l’auto. È necessario utilizzare diversamente le conoscenze diagnostiche. Come?
2) Tra le conseguenze di quanto detto vi è stato il ricorso intensificato a volontariato e terzo settore, che riguarda enti e soggetti non riconducibili né al mercato né allo Stato. Compongono una realtà sociale, economica e culturale in continua evoluzione. Una rete invisibile. Una risorsa preziosa? Un giro d’affari?
3) Come superare la logica dell’emergenza? Ogni fatto sembra emergere dall’oscurità e delle nostre ignoranze. I fatti più percepiti sono gli incidenti, che fanno improvvisare rimedi tali da far pensare che provochino altri danni. Gli addetti all’informazione, a loro volta, surfano sull’onda emergenziale.
4) Per dare risposte a queste e ad altre domande, sarebbero utili almeno due cose:
a) Potenziare le strutture intermedie, come i servizi sociali; promuovendo e ufficializzando – dove già esistono – i centri di documentazione territoriale. Chiarire ruoli e compiti, nella logica complementare degli accreditamenti e dell’impiego del budget di salute. Gli accreditamenti, nella fase attuale, rischiano di utilizzare criteri formali standard a prescindere da processi di incremento della qualità e a prescindere dai singoli progetti di vita. In qualche caso, iniziative che si presentano come tutelate da illustri personaggi della scienza, mettono in difficoltà chi deve accreditarle, e non se la sente di bocciare quei tutori illustri.
b) Valorizzare figure professionali di recente legittimazione, e in particolare gli Educatori Socio-Pedagogici. Il loro impiego nell’accompagnare nei progetti di vita delle persone con disabilità o con Bisogni Speciali può essere importante per dare nuove energie alle politiche di welfare.
5) L’accreditamento è il percorso attraverso il quale viene riconosciuta l’idoneità di un fornitore di servizi se questi corrispondono a standard pre-definiti. È possibile con riferimento al Decreto Legislativo 502/92 (art. 8 comma 7) e successive modifiche e integrazioni: “instaurazione di nuovi rapporti fondati sul criterio dell’accreditamento delle istituzioni, sulla modalità di pagamento a prestazione e sull’adozione di sistemi di verifica e revisione della qualità delle attività e delle prestazioni…”. Compete alle Regioni la introduzione di sistemi di sorveglianza e di strumenti e metodologie per la verifica della qualità dei servizi che, a partire dalla autorizzazione ad operare già posseduta (requisiti minimi).
6) Il budget di salute, ci dice Fausto Giancaterina, già direttore servizio disabilità e salute mentale comune di Roma e attualmente consulente attuazione sistema operativo budget di salute:
a) non corrisponde meramente alle risorse economiche disponibili, ma è costituito dall’insieme delle risorse economiche, professionali e umane, gli asset strutturali, il capitale sociale e relazionale della comunità locale, necessari a promuovere contesti relazionali, familiari e sociali idonei a favorire una migliore inclusione sociale della persona;
b) è uno strumento organizzativo-gestionale per la realizzazione di progetti di vita personalizzati in grado di garantire l’esigibilità del diritto alla salute attraverso l’attivazione di interventi sociosanitari integrati;
c) non va confuso con il voucher;
d) è un sistema caratterizzato da un’elevata flessibilità e soprattutto dal non essere legato a un tipo particolare di servizio o a uno specifico erogatore;
e) promuove e attua il protagonismo dei cittadini/utenti, che si realizza nella co-costruzione dei singoli progetti personalizzati e si struttura nella definizione di un contratto;
f) promuove e attua il principio di sussidiarietà, vale a dire la possibilità, la necessità e la ragionevolezza di affidare al livello più prossimo alle persone che ne avvertono il bisogno, la realizzazione di interventi che valorizzino le risorse informali di cura nei contesti comunitari. Tutto ciò nella convinzione che questo costituisca uno degli ambiti su cui si debba maggiormente intervenire per promuovere il cambiamento e l’evoluzione di quel microcontesto sociale e culturale in cui vive la persona, che costituisce l’elemento determinante per un ragionevole suo “bene-essere”;
g) considera come centrale l’attenzione ai determinanti sociali della salute: chi è privo di fattori di protezione sociale (è a basso reddito; vive in contesti familiari e sociali poveri di risorse economiche e culturali; ha reti relazionali sfilacciate ecc.) si trova più facilmente esposto a situazioni di perdita della salute. Più si è in condizioni di fragilità sociale (solitudine, povertà, ecc.), più si è a rischio di malattia. Tenendo in alta considerazione l’unitarietà della persona, il Budget di Salute esige un approccio centrato su una forte attenzione ai determinanti di salute riscontrabili nel contesto sociale, economico lavorativo, relazionale e valoriale delle singole persone, per cui è del tutto necessaria la creazione di un sistema fortemente integrato di servizi sanitari e sociali, in grado di garantire continuità e appropriatezza nelle azioni”.
7) C’è un altro modo per dare risposta a tante domande: il ricorso a strutture simili agli istituti, con la giustificazione delle competenze specialistiche che garantirebbero. Una risposta che può essere illustrata in due modi. Il modo tecnico-scientifico. E quello della rassicurazione benevola, che mette da parte qualcuno per sviluppare una solidarietà tale da non creare nessun cambiamento sociale. Propone un particolare modo di interpretare il welfare. Le risposte sociali se le prenda chi è capace: il “fai da te” trionfante; ti aiuto se tu sei capace di prendere l’aiuto, se non sei all’altezza dell’aiuto...
8) È bene precisare che, in un sistema inclusivo, i numeri contano. Per intervenire sul sistema occorrono proposte sistemiche. Riprendendo riflessioni già espresse, pensiamo al Filo d’oro, di Osimo, o la Fondazione Robert Hollman a Cannero Riviera, sulle rive del Lago Maggiore. Le disabilità complesse di cui hanno competenze certe perché esercitate in continuità e quindi evolutive, hanno le caratteristiche che devono tenere insieme due elementi: il numero, che è consistente unicamente rapportato a un ampio territorio, come quello italiano; e la necessità di competenze specifiche evolutive perché esercitate in continuità. È l’occasione per una proposta sistemica: integrare nel sistema inclusivo realtà ad alta competenza per situazioni di deficit con numeri consistenti unicamente su un ampio territorio.
9) L’integrazione che diventa inclusione diventa anche invisibile. Le reti sociali in quanto tali non hanno la visibilità che attira attenzioni e offerte di denaro. Circa le raccolte di offerte, può accadere che, per sollecitarle, ci sia l’allusione a una situazione tendenzialmente negativa e priva di strutture adeguate. Per questo nelle reti sociali vanno compresi i soggetti che promuovono informazione.
10) La situazione che stiamo vivendo esige la promozione di una forma di resistenza di ampio respiro e capace di sostenersi sottolineando quello che funziona, per migliorarlo estendendolo.
11) Estendere non significa duplicare e standardizzare. Le diverse fisionomie delle risposte ai bisogni sono la base indispensabile della costruzione di un sistema reticolare basato su accreditamenti + budget di salute.
12) Potremmo dire che la frase/presupposto “Incontro qualcuno che non capisco” potrebbe avere due continuazioni contrapposte:
a) devo conoscerlo meglio;
b) devo eliminarlo dal mio contesto.
La prima continuazione esige, implicitamente, un tempo di riflessione: è diacronica. La seconda, al contrario è reattiva e sincronica.
La riflessione svolge una funzione analoga al maggese. Ed esige un tempo per studiare, o pensare, le possibilità di organizzarsi.
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Infanzia, n. 4 ottobre-dicembre 2019