Introduction
Experience and education

 

A cura di Vanna Gherardi

 

Questa sezione della rivista dedicata al valore dell’esperienza sullo sviluppo del bambino accoglie alcuni interventi dal convegno che si è svolto a Lodi sul tema degli spazi in luoghi pubblici. Esperti di ambiti diversi, architetti, urbanisti, neuropsichiatri, pedagogisti, dirigenti e insegnanti di scuola, si sono confrontati sulle opportunità di esperienza che gli spazi cittadini possono offrire alle giovani generazioni. Si è discusso di spazi per ripensarli non più in una logica adulta di vie di passaggio, di passaggio veloce sotto la spinta della produzione, quindi come luoghi scorrevoli per una viabilità sicura e snella dove si sperimenta l’attraversamento rapido, e dove viene inibita ogni altra azione volta a sperimentare lo spazio come paesaggio, oggetti, panorama e poi persone che s’incontrano e si fermano a fare insieme. Consapevoli del fatto che nessuna azione sullo spazio è priva di conseguenze, ci s’interroga su come limitare routine e ovvietà e favorire invece l’incontro con dati sensoriali ed empirici, evitare banalizzazioni come le insipide ricerche d’ambiente e agganciare inventivamente la realtà esterna nella formazione del bambino, non più cittadino dimenticato. L’esperienza diretta è quindi fondamentale.

 

Ma cosa s’intende per esperienza?

Nella storia della didattica è Comenio che, partendo dalla specificità e dall’educabilità dell’infanzia si pone per primo il problema di quale didattica risponda meglio alle esigenze del bambino e favorisca in lui lo sviluppo di capacità e di competenze. Osserviamo che nella sua Didactica Magna egli illustra i fondamenti della sua visione metodologica e didattica partendo dall’analisi del rapporto fra apprendimento ed esperienza diretta, anticipando così la riflessione che verrà condotta in modo ancora più approfondito ed articolato da Rousseau. Notiamo perciò che sin dalle origini del discorso pedagogico e dalla nascita della didattica stessa, la ricerca di strategie idonee a promuovere lo sviluppo del bambino si impernia intorno al concetto di esperienza. Il termine esperienza deriva dal greco empeiria, composto da en (in) e peira (prova, esperienza pratica, tentativo e anche conoscenza) e indica la conoscenza e la pratica delle cose, acquistata attraverso prove fatte da noi stessi o per averle viste fare da altri, conoscenza del mondo e della vita1. Comenio proponeva una teoria della conoscenza che attribuiva un’importanza fondamentale all’esperienza sensibile e di conseguenza prospettava metodi d’insegnamento fondati sull’esperienza diretta: l’insegnamento parte dall’esperienza proprio sulla base dell’osservazione del modo naturale di sviluppo del bambino che, come prima facoltà, esercita i sensi esterni e, successivamente, l’immaginazione e la memoria proprie dei sensi interni, “le parole non siano senza le cose”, le parole stesse devono essere insegnate ed imparate solamente associate alle cose, in altri termini, devono essere associate all’esperienza2.

Per la prima volta un pensatore richiama l’attenzione sul tema dell’esperienza come perno su cui fondare un nuovo pensiero pedagogico, attraverso cui minare la pedagogia e la didattica tradizionale di tipo trasmissivo e verbalista.

Ecco quindi attestare fin dai primi studi di didattica il ruolo importante svolto dall’esperienza per l’apprendimento.

Anche per Montessori, per Dewey e per Piaget, l’importanza dell’esperienza porta alla conclusione che l’azione precede la mente.

L’esplorazione e la conoscenza della realtà, attraverso il rapporto con l’ambiente, è per Piaget costruzione di significato.

Il bambino, dunque, non si limita a prendere contatto con la realtà, ma la conosce attraverso varie fasi che si potrebbero riassumere nel contatto in sé, nell’astrazione empirica e nell’astrazione riflettente.

 

Un esempio: esperienza e linguaggio

Le azioni attivate dal bambino nel contatto con la real­tà, se stimolate da un adulto che lo accompagna e che gli chiede di “enucleare” con la parola ciò che osserva, porta un’esemplificazione di astrazione riflettente che ricava le proprie informazioni partendo da azioni compiute sugli oggetti, così come Piaget la intende.

Allora, educare all’uso della lingua significa accompagnare il bambino a fare esperienza nella realtà; non si addestra all’uso in se stesso. L’uso si guadagna, si matura pesando la lingua cioè partendo dalla realtà, ripercorrendo l’esperienza con i bambini. Il linguaggio è il modo con cui l’uomo prende posizione di fronte alla realtà, per cui (l’uomo) reagisce alla sua esperienza e la manifesta. Il linguaggio legge l’esperienza e leggendo l’esperienza affronta la realtà. Nell’uso ciò che viene in primo piano è la testualità. La testualità non si costruisce facendo esercizi o riassunti, ma è determinata in definitiva dal rapporto col bambino, dall’impegno educativo. Pertanto la testualità si fa sempre in quanto il testo non è solo quello scritto. La testualità non dipende dal fatto che è insegnata esplicitamente, ma dal fatto che si fa crescere il bambino nella lettura della sua esperienza: se comincia a chiedersi il perché, il come, il quando, comincia a chiedersi le ragioni, allora il testo si sviluppa.

Al fine di insegnare ai bambini ad usare un linguaggio più preciso e non superficiale anche nel parlato, è opportuno portare ad osservare alcuni elementi che li circondano per aiutarli a mettere maggiormente in relazione gli oggetti con la parola con la quale nominarli, quindi il parlare aiutato dal vedere.

 

1 M. Cortellazzo – P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 1999, p. 399.

2 G.A. Comenio, Educazione nuova, Bemporad Marzocco, Firenze 1966.

 

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Infanzia, n. 2 aprile-giugno 2017

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