Angela Chiantera e Maria Cristina Stradi

 

Sin dai primi mesi di vita il bambino e la bambina avviano la progressiva scoperta della possibilità di usare intenzionalmente mezzi concreti per dare forma ai contenuti della mente e per scambiarli con altri. Imparano dunque che è possibile utilizzare diversi tipi di segni per fissare, chiarire e sviluppare il proprio pensiero (fatto di intenzioni, conoscenze, desideri, emozioni…), così come per trasmetterlo ad altri interlocutori attenti e partecipi, capaci cioè di instaurare con loro un rapporto di scambio. Se nei primi tre anni di vita il bambino e la bambina hanno acquisito i meccanismi comunicativi di base, nei tre anni successivi le scoperte si moltiplicano e le abilità si fissano in un patrimonio sempre più stabile di competenze.

Sostenendoli in questa crescita, il Nido e la Scuola dell’Infanzia mettono bambine e bambini in contatto con vari strumenti di espressione e di comunicazione: la parola (indicando con tale termine sia la lingua materna che la seconda e la terza lingua), il corpo, l’immagine, il suono e la musica. Si sa che nel mondo contemporaneo tali strumenti si integrano ed intrecciano secondo modalità, ogni giorno più sofisticate e innovative che tengono conto delle diverse culture di appartenenza: è conseguentemente importante che si offra a bambine e bambini la possibilità di sperimentare situazioni in cui tali codici compaiano sia da soli, sia in rapporti di reciproca dipendenza, così come avviene nei momenti di fruizione di libri, video e così via.

Facendo particolare riferimento allo sviluppo dell’oralità, le verbalizzazioni dell’adulto sono, nella giornata e nei contesti educativi, una continua colonna sonora che accompagna azioni, gesti, situazioni: servirà al bambino per apprendere non soltanto la nomenclatura di ciò che lo circonda e che poco per volta entra nel suo raggio d’attenzione, ma anche la sintassi e le forme e i significati di testi sempre più complessi. Ogni educatore, nel rapporto diretto e costante con ciascun bambino troverà nei tempi della cura e della relazione formativa quotidiana le modalità indispensabili per sostenere l’acquisizione e lo sviluppo del linguaggio sfruttandone appieno le potenzialità sonore ed evocative.

Disporre di molti materiali (strutturati e non), di albi illustrati così come di libri che solo l’adulto potrà proporre (perché necessitano di una possibile integrazione tra testo ed immagine) consentirà di stimolare curiosità e scoperta e di conseguenza sollecitare processi cognitivi che sono strettamente connessi alla verbalizzazione. Le operazioni di lettura nei servizi educativi 0-6 anni non sono mai semplice decodifica del lessico, ma impegno sensibile e attento a coinvolgere i bambini nella effettiva comprensione del messaggio, della storia, del breve format supportato in questo, come nella maggior parte dei testi proposti, da immagini che sostengono e provocano una maggior comprensione. L’adulto che si pone tra gli obiettivi della sua azione educativa quello di avvicinare i bambini attraverso le parole e le immagini sia alla conoscenza della realtà che al mondo della fantasia e dell’immaginario già al Nido d’infanzia offre, anche ai piccolissimi, continue occasioni di verbalizzazioni e di “conoscenza” di testi. Accanto ai bambini, e guardando insieme le illustrazioni, legge, ritorna sul testo, amplia con aggettivi, sinonimi, spiegazioni, costruisce riferimenti, legami, nessi tra la situazione presentata sulla pagina e l’esperienza dei bambini. L’adulto educatore sa molto bene che la propria proposta linguistica non può essere povera ed essenziale neppure nei momenti più ripetitivi e “organizzativi” quali potrebbero essere quelli delle azioni della cura o dei momenti di transizione tra una situazione e l’altra. Non trascuriamo, anche per i piccolissimi (già dai piccolissimi) l’offerta come vera e propria azione educativa di molti momenti di ascolto. Se la voce narrante nei primi periodi rappresenterà un continuum abbastanza indifferenziato nelle sue singole componenti, purtuttavia è solo ascoltando, condividendo un insieme di sonorità verbali più o meno sostenute ed accompagnate da gesti, azioni, oggetti, materiali, rituali, immagini che si apprende il linguaggio.

Nel linguaggio dei bambini la comparsa dei singoli vocaboli e poi via via delle varie forme verbali (al presente, al passato, al futuro e poi più avanti anche nella variante passiva) testimonia come essi pensino, quale controllo possiedano di questo tipo di comunicazione nella relazione con gli altri. Tale percorso di progressivo, anche se non sempre lineare, arricchimento è in stretta relazione con la qualità della comunicazione verbale che caratterizza l’ambiente di vita del bambino. La consuetudine con adulti che nel loro parlare dimostrano di possedere curiosità verso il linguaggio, desiderio e capacità di renderlo più pertinente, più efficace, più stimolante indubbiamente sollecita le potenzialità comunicative. Apprendere a comunicare significa meglio e più precisamente comprendere le intenzioni di chi ci circonda ed entrare in una dimensione di dialogo che fornisce agli altri informazioni sulle nostre idee e completa ed integra (finanche non sostituisce) molte delle nostre azioni. Il lessico dell’educatore non può essere quindi solo un modo per denominare od ordinare una esperienza, ma uno strumento dalle molteplici caratteristiche in quanto, per la sua ricchezza e capacità di adattarsi alle singole diverse competenze dei bambini, le sollecita, anche tramite azioni di corretto rispecchiamento. Solo un linguaggio che incuriosisce, stupisce per la sua sonorità, per la sua evocatività, per il legame che crea con le situazioni e gli oggetti, può stimolare lo sviluppo delle competenze e delle abilità di ogni bambino, anche della maggior parte di quelli con disabilità, aiutando a costruire situazioni e provocare emozioni indispensabili per la qualità della vita di ciascuno.

Verso la fascia d’età 3-6 anni i comportamenti verbali adulti devono fare perno sulla crescita della conoscenza del codice orale, certo, ma soprattutto sulla scoperta degli scopi e degli ambiti in cui la lingua può essere utilizzata. Si fa spesso riferimento al fatto che nella vita di un bambino di questa età (italiano o straniero che sia) le funzioni linguistiche vanno scoperte e agite nella loro varietà; in questo modo (parafrasando quanto affermato dalle Indicazioni nazionali del 2012) la lingua diventa via via uno strumento con il quale giocare ed esprimersi in modi personali, creativi e sempre più articolati; sul quale riflettere per comprenderne il funzionamento; attraverso il quale raccontare e dialogare, pensare logicamente, approfondire le conoscenze, chiedere spiegazioni e spiegare il proprio punto di vista, progettare, lasciare tracce.

Accanto all’italiano orale, nella Scuola dell’Infanzia i bambini possono incontrare altri codici linguistici (parlati da compagni o insegnanti come seconda lingua) e l’italiano scritto: secondo le Indicazioni la naturalezza della situazione in cui l’incontro deve avvenire e un efficace intervento educativo possono garantire la possibilità di un confronto e di una riflessione comune. Tra le finalità di queste esplorazioni è inclusa la consapevolezza della propria lingua materna: concetto sfumato, ma interessante, che, richiamato in prima istanza quando si parla dei bambini stranieri, diventa uno dei traguardi finali validi per tutti.

Se analizzata nei suoi vari aspetti, tale consapevolezza della propria lingua può aprire varie piste di lavoro educativo. Esso, infatti, può essere collegato a due delle finalità già citate negli Orientamenti del ’91, vale a dire l’acquisizione della fiducia nelle proprie capacità di comunicazione e la consapevolezza della possibilità di esprimere le medesime esperienze in modi diversi: riconoscersi interlocutore capace significa porsi in maniera positiva nei confronti degli altri (e quindi disposto a confrontarsi con loro), scoprendo progressivamente la possibilità di usare la lingua in maniera intenzionalmente differenziata.

Compito dell’insegnante sarà dunque quello, innanzitutto, di rispettare e sostenere nel bambino la sua volontà comunicativa e le sue risorse espressive iniziali; accanto a questo, dovrà far vivere al bambino vari tipi di situazioni linguistiche, reali o fittizie (per esempio nel gioco simbolico, nelle narrazioni o nelle drammatizzazioni), insieme a bambini e adulti, familiari e non, sottolineando il ruolo che ognuno gioca nel progetto comune.

Ma, ancora, la consapevolezza della propria lingua può essere collegata a quella consapevolezza epilinguistica che, spontanea e intuitiva in questi anni, si farà mirata ed esplicita a partire dalla scuola primaria (divenendo metalinguistica); la sua presenza sembra sottesa a tutta l’illustrazione del Campo di esperienza “I discorsi e le parole”: riflettere per comprendere il funzionamento delle diverse forme linguistiche orali e scritte, confrontare la propria lingua con le altre, esplorare la lingua scritta sono tutti comportamenti che implicano l’esistenza, nei bambini di questa età, della capacita di riflettere sui codici con cui entrano in contatto.

È evidente che tali comportamenti devono rimanere a livello di attenzione accorta, ma non strutturata, ad alcuni aspetti della lingua con cui i bambini hanno familiarità: per quanto riguarda l’italiano orale servirà parlare di sé e degli altri secondo varie prospettive, giocare con le parole attraverso l’ascolto e la progressiva costruzione di rime, filastrocche, nonsense, oppure raccogliere parole con affinità semantiche o foniche, o, ancora, scandire le frasi in parole e le parole in sillabe accompagnandosi col movimento. E leggere il più possibile libri scelti proprio per la loro qualità linguistica, che prestino, cioè, particolare attenzione alle caratteristiche dei testi offerti con la lettura ad alta voce: nel vasto panorama editoriale odierno si possono per esempio trovare racconti in rima, o costruiti come tautogrammi, oppure ‘libri di parole’ che si offrono come raccolte ragionate di lemmi.

Tutto ciò richiede che ogni insegnante attivi una grande capacità di riflessione sulla lingua che, nei vari momenti, offre ai bambini e su quali possano essere le strategie capaci di attivare la voglia e il piacere di parlare insieme.

Strettamente legati a queste considerazioni sono gli articoli inseriti in questo Focus dedicato al ruolo educativo degli adulti nei confronti dello sviluppo linguistico e comunicativo di bambini e bambine e della centralità, all’interno di questo impegno, della narrazione e della lettura ad alta voce.

Marco Dallari, sottolineando la vocazione narrativa insita nelle produzioni grafiche dei bambini, fin da piccolissimi, coglie fino in fondo le potenzialità di molte situazioni educative invitando educatori ed insegnanti a valorizzarle riconoscendo nel loro realizzarsi fin da subito una forte potenzialità.

Non potevamo poi dimenticare l’importante contributo che il pensiero di Sergio Neri, scomparso nell’ottobre di 20 anni fa, ha dato allo sviluppo della riflessione educativa in particolare nella scuola dell’infanzia (ma non solo!). Le sue considerazioni sul rapporto tra oralità e scrittura e tra gioco e parola sono anche oggi del tutto attuali.

E sempre dello stretto rapporto tra gioco e narrazione si occupa Daniela Cecchin invitando a vedere nelle diverse forme del gioco di fantasia le modalità secondo le quali i processi logici prendono forma e si strutturano nel bambino.

Il contribuito di Cristiana De Santis punta l’attenzione sulle caratteristiche dei libri per bambini affinché educatori ed insegnanti facciano ricorso al libro in modo sempre più intenzionale e soprattutto consapevole. Il repertorio a disposizione è molto ricco e propone testi ed albi che possono rivelarsi, se ben proposti, ottime occasioni per l’arricchimento lessicale.

 

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Infanzia, n. 4 ottobre-dicembre 2020

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