Gianni Balduzzi

 

 

In un quadrimestre, da settembre 2021 a gennaio 2022, sono scomparse alcune figure che, in modi e con caratteristiche diverse, hanno rivestito un ruolo importante nella pedagogia italiana. Scrivere di loro e ricordarle non ha alcuna intenzione di ricostruirne la figura e la produzione scientifica, operazione che è stata fatta egregiamente in appositi volumi e negli articoli che li hanno ricordati. Intende, piuttosto, identificare alcuni tratti salienti del loro pensiero, per ricollegarli alle problematiche che investono, oggi, la scuola, lo spazio educativo e la riflessione pedagogica.

La prima di queste figure è Egle Becchi, scomparsa il 3 gennaio a Milano, che è stata docente di pedagogia e di storia della pedagogia presso l’Università di Pavia, di cui era professore emerito.

Partita dall’analisi di tematiche epistemologiche, ha sviluppato linee di ricerca in cui la riflessione pedagogica si coniugava con uno sguardo capace di muoversi in un interscambio che collegava teoria e pratica e, nel medesimo tempo, superava tradizionali steccati fra le discipline: la sua prima opera sulla teoria della Gestalt (1972) e l’antologia degli scritti di Anna Freud, Infanzia e psicologia (2021) sono un indice esplicito di questa prospettiva epistemologica unita a un incessante impegno di ricerca sul campo, che ha coinvolto diverse discipline.

Il mio primo incontro con Egle Becchi, se così posso dire, avvenne che la lettura del saggio Metafore d’infanzia, pubblicato su Aut-Aut nel 1982. Fu un incontro avvincente per me che avevo sviluppato un interesse specifico per l’educazione insegnando come maestro elementare e affrontando come direttore didattico i problemi della scuola e della sua organizzazione. In entrambi i ruoli, il riferimento centrale era il bambino, ma rimanevano elusi alcuni interrogativi: chi è il bambino? Come lo conosciamo?

La lettura del saggio della Becchi mise a nudo una questione fondamentale: parlavamo di bambini utilizzando schemi interpretativi adulti. Ci riferivamo a un bambino che, però, continuava a essere “infans”, muto: occorreva trovare chiavi di lettura e strumenti che permettessero di rompere questo muro, e l’analisi delle metafore con cui era raccontato poteva costituire un approccio metodologico importante.

Questa prospettiva può essere considerata il leit-motiv che ha sostenuto il suo impegno con una forte impronta sociale, in cui risultano centrali l’interesse per la storia dell’educazione, in modo particolare dell’infanzia nell’asilo nido e nella scuola materna, con un approccio originale che ha indirizzato il lavoro di molti studiosi non solo in Italia.

Anche la seconda studiosa, scomparsa nel settembre del 2021, ha prestato un’attenzione particolare all’infanzia, ma con modelli interpretativi diversi. Si tratta di Sira Serenella Macchietti. Scolara di Mario Mancarelli, sviluppò la sua riflessione nell’Università di Siena seguendo le linee guida del maestro: creatività, intesa come potenziale educativo; educazione permanente, come esigenza di crescita continua, profondamente incardinata nel contesto storico e culturale del personalismo pedagogico.

Con Serenella Macchietti ho avuto un rapporto di stretta collaborazione, per l’attività all’interno dell’Associazione Pedagogica Italiana (AsPeI), di cui è stata presidente dal 1991 al 2002, mentre io ero, prima, segretario nazionale, poi membro del consiglio direttivo.

Sotto la sua presidenza, l’AsPeI ha organizzato quattro congressi nazionali di pedagogia e, scorrendo gli argomenti proposti, è possibile osservare il loro riferimento ai temi dominanti del momento, collocandoli in una cornice idonea a sottolinearne l’importanza e dando voce alle differenze culturali e ideologiche, con l’impegno di mantenere vivo il collegamento fra mondo accademico e scuola e di prestare attenzione alle proposte della periferia, per valorizzare le diverse voci presenti.

Ciò appariva importante soprattutto dopo la nascita di associazioni che raggruppavano i docenti universitari e davano voce alla specificità delle loro problematiche. Come presidente AsPeI Serenella Macchietti ha partecipato alla loro vita, ribadendo il senso di unità nell’educazione e, quindi, della riflessione che se ne occupava.

L’attività con l’associazione non copre, evidentemente, lo spettro complesso e articolato, di un impegno che collegava la riflessione pedagogica con attività e promozione di esperienze.

Gli autori degli studi in suo onore hanno illustrato con chiarezza le tematiche affrontate: da una prospettiva storica attenta alle questioni dell’educazione femminile, all’istruzione popolare, all’analisi delle teorie pedagogiche in chiave personalistica; dall’educazione interculturale alla storia delle pratiche educative per l’infanzia nei secoli XIX e XX, partecipando attivamente all’attività della FISM.

Il terzo studioso che intendiamo ricordare è Giacomo Cives, professore di pedagogia all’Università di Bari e, in seguito, di storia della pedagogia alla “Sapienza” di Roma. La sua figura e la sua carriera sono emblematiche di un periodo in cui molti docenti universitari nel campo pedagogico avevano insegnato inizialmente nella scuola pubblica: alcuni nelle superiori, altri, e non pochi, nella scuola elementare.

Facendo riferimento a questo percorso, Cives ricorda, infatti, che, appena diplomato maestro, aveva cominciato a insegnare diventando poi direttore didattico e, infine, ispettore: ciò gli aveva permesso di comprendere da vicino i problemi della scuola e degli insegnanti, poiché nel suo percorso da maestro a ispettore aveva avuto modo di conoscere da vicino la realtà educativa della scuola elementare, l’impegno dei maestri che urtava, spesso, con la rigidità della struttura scolastica e i condizionamenti ideologici che permanevano negli anni ‘50. Da questa esperienza è nata la consapevolezza che fosse necessario trasformare la scuola, dandole una chiara impronta democratica: sulla rivista “Il maestro oggi” diede vita ad un ampio dibattito sulla scuola integrata e contribuì a disegnare un modello, base per l’istituzione della scuola a tempo pieno. Ciò costituisce un’evidente cartina di tornasole per la sua attività di studio e di ricerca che si è manifestata nell’iniziale interesse per la didattica che va dalla sua prima cattedra di didattica presso la Facoltà di Magistero di Roma agli interventi su “Vita dell’infanzia”, rivista dell’opera nazionale Montessori.

La produzione più consistente riguarda, però, la scuola elementare e la sua organizzazione: dai due volumi di Cento anni di vita scolastica in Italia. Ispezioni e inchieste a L’educazione oggi in cui mette in luce una pesante realtà educativa esaminata con sensibilità e intelligenza, presentando figure di educatori che possono anche oggi proporre interessanti spunti di riflessione.

A questi sono succeduti altri studi di argomento storico che lo hanno portato a sviluppare il concetto di mediazione pedagogica, intesa come capacità caratteristica della pedagogia e dell’educazione di raccordare, di aprire al dialogo e alla collaborazione fra realtà e scienze diverse, intese come espressioni culturali che non richiedono gerarchie ma integrazione.

Si possono identificare tematiche e suggestioni che accomunino questi tre pensatori, diversi per impostazione culturale?

Mi sembra che ci sia un atteggiamento comune nel sottolineare l’esigenza di non lasciarsi affascinare dalle specializzazioni, perché disegnano una cultura divisa e parcellizzata, fatta di competenze sofisticate, ma che perdono di vista la complessità dei problemi educativi. Per questi studiosi la riflessione pedagogica deve costruire una visione multidisciplinare, antiprovinciale e pluriculturale d’ispirazione democratica.

Un altro aspetto comune, anche se declinato con prospettive differenti, può essere ritrovato nell’interesse per il bambino e la sua educazione e per le istituzioni che se ne occupano e devono aiutarlo a crescere.

L’interrogativo centrale è sicuramente “chi è il bambino?”, al di là delle metafore usate per costruire le caratteristiche della sua educazione; come si riesce a dargli voce per ascoltarlo e consentirgli di esprimersi.

Credo che questi siano problemi di grande attualità, che non possono essere elusi da chi riflette sulle questioni educative e dagli insegnanti, soprattutto in un momento in cui una rigida richiesta di prestazioni sembra trascurare il senso e il valore dell’infanzia.

 

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Infanzia, n. 1 gennaio-marzo 2022

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